di Marco Galetti
La strada dei ricordi è tutta in discesa, come Clelia, anche il suo era un nome bellissimo e inconsueto…. (continua***)
Una bottiglia è e diventa importante per molteplici motivi.
Per il valore innegabile del vino al suo interno, come questa.
Per il fatto che sia stata prodotta in pochi esemplari in modo esemplare, come questa.
Perché la richiesta è superiore all’offerta, perché non viene offerta ad un prezzo contenuto e il suo contenuto lascia a bocca aperta una volta aperta.
Molto spesso capita che vista, olfatto e gusto siano appagati e che i descrittivi siano ripagati dopo lo stappo, ma non tutte le bottiglie, evidentemente, possono avere il valore aggiunto, come questa, di aver evocato ricordi che credevo sbiaditi e dimenticati in fondo ad un cassetto, il che, insieme al fatto di averla ricevuta in dono da un amico la rende speciale.
Ma andiamo per gradi, quattordici, per ognuna del migliaio del progetto “Clelia” prodotte dall’Azienda Vitivinicola di Colli di Lapio, queste, in proposito le parole che mi ha mandato Carmela, la figlia di Clelia:
“Clelia un progetto nato da un forte desiderio di coniugare le diverse generazioni che si sono susseguite in cantina, la Vigna destinata al progetto è la particella n.349 a 620 S.L.M. la più alta dell’areale Fiano di Avellino D.O.C.G. Arianello-Lapio.
Prodotto ottenuto da una vendemmia manuale, tardiva con leggero appassimento di uve su pianta, il periodo di raccolta è la prima decade di novembre, in seguito alla prima brina autunnale, infatti in famiglia nel passato la raccolta si svolgeva quando gli acini delle uve tendevano ad assumere un colore quasi ramato.
Queste uve giunte in cantina vengono diraspate, lievemente pressate ed il cui cuore viene messo in fermentazione a temperatura controllata, il vino ottenuto fa un lungo affinamento sulle fecce nobili in modo da esaltarne le caratteristiche territoriali, imbottigliato, prima della successiva vendemmia, affina ulteriormente dodici mesi in vetro.”
Fiano di Avellino 2018, Colli di Lapio, controetichetta di Clelia e l’ombra che si palesa di Leila…
***…come Clelia, anche il suo era un nome bellissimo e inconsueto….
I raggi luminosi e obliqui, di un sole di inizio primavera milanese, colpivano i cristalli dell’autobus che mi stava portando al liceo, mentre con la testa “vagavo solitario come una nuvola”, ancora non sapevo che avrei portato alla prova di maturità scientifica asfodeli in versi, quelli di un poeta romantico del 1800, fino a quel momento a me sconosciuto.
Due fermate dopo la vidi, bella come un narciso, un fiore delicato con un abitino bianco
macchiato qua e là di giallo paglia con riflessi luminosi e di piccole sfumature verdi.
Salì e si affacciò anche lei, con grande finezza per una giovane liceale, ai cristalli dell’autobus, era disinvolta, floreale, a quel tempo delle mele profumava come una mela verde, senza toni dolci, era fresca.
Guardando i suoi occhi nocciola, mi persi, forse percepii un leggero profumo di nocciola tostata insieme a quello inebriante dei fiori freschi, avrei tanto voluto prenderla a piccoli morsi e a sorsi ma riuscii solo a chiederle: come ti chiami?
Leila, mi rispose.
Questo ricordo, se ben conservato in cantina, o meglio nel cassetto della memoria, anche dopo anni saprà darmi ancora grandi soddisfazioni…
In Francia dicono che nel vino si vede passare il cuore di un altro, io credo, piuttosto, si ritrovi una piccola parte di noi e del nostro cuore che avevamo perso lungo la strada della vita, grazie Clelia.